Repertorio informatizzato delle fonti documentarie e letterarie della Sardegna

Repertorio informatizzato delle fonti documentarie e letterarie della Sardegna

Una congiura in Cagliari. Racconto storico del Secolo XVII – Introduzione

Di CARLO BRUNDO

Edizione a cura di Joël F. Vaucher-de-la-Croix

Introduzione

Non so quale sia la verità, se c’è verità. Forse qualcuno dei narratori ha mentito sapendo di mentire. O invece tutti hanno detto ciò che credono vero. Oppure magari hanno inventato particolari, qui e là, per un gusto nativo di abbellire le storie. O, ipotesi più probabile, sui fatti si deposita il velo della memoria, che lentamente distorce, trasforma, infavola, il narrare dei protagonisti non meno che i resoconti degli storici.

Atzeni, Il figlio di Bakunìn

 

Una congiura in Cagliari – Capitolo I

Quel che avveniva nel palazzo del Viceré la mattina del 6 febbrajo 1667

La mattina del 6 febbrajo 1667 si annunziava con un’insolita agitazione nel palazzo del Viceré1. Le sue sale, aperte, contra il consueto, di buon’ora e custodite da paggi e da donzelli2 – mute e arcigne cariatidi di quell’asilo del potere – contenevano già considerevole numero di signori, che sollecitavano l’onore d’un’udienza.

Una congiura in Cagliari – Capitolo II

Ciò che si vedeva dalla casa del Marchese di Cea

Che nel secolo XVII si credesse alla fiaba degli spiriti erranti, dei lemuri, delle fattucchierie, dei malefici e di cento altri terrori, dei quali la superstizione avea fatto un articolo di fede ortodossa, non ha da recar maraviglia. Brulicavano dappertutto i frati d’ogni colore, ed è noto che fu sempre una loro massima salutare, per aver agio di mestare47 a talento in troppe cose, di diffondere coteste credenze.

Una congiura in Cagliari – Capitolo III

Tra la folla

Le cose fin qui narrate accaddero in molto minor tempo, che non occorresse per riferirle. Ai segreti maneggi dei due opposti partiti, che si preparavano alla chetichella dentro le case dei rispettivi capi; a quell’ombroso sogguardarsi da lontano, quasi per indagare a fondo le mosse di ciascuno e l’atteggiamento, che converrebbe assumere in quella delicata quanto difficile congiuntura; al sospetto, infine, che s’ingenerava negli animi per tutto quel rimescolamento di piccoli e, grandi intrighi, doveva aggiungersi altresì un insolito tramestare92, lunghesso le vie e le piazze, di popolani d’ogni risma.

Una congiura in Cagliari – Capitolo IV

Le fila s’annodano

La folla, come s’era radunata, si disperse prestamente del pari. Qua e là soltanto rimaneva qualche gruppo, qualche comitiva randagia, a guisa di quelle nuvolaccie, che ingombrano il cielo dopo un forte acquazzone.
Era scesa la notte137, una notte nera, povera di stelle. Appena i lumicini ad olio delle taverne riverberavano un fioco barlume lungo le vie; così che coloro che vi transitavano pareano tante ombre evocate, misteriosi attori d’una infernale treggenda. A poco a poco, per un viottolo, o per un chiassetto, i gruppi si dispersero, si chiusero le imposte; le pesanti porte del castello, stridendo sui cardini arrugginiti, vennero sprangate; a tutta quella affannoneria138 del giorno, tenne dietro la quiete muta, sepolcrale, d’una città addormentata tra le tenebre, non rischiarata che dal solco luminoso di qualche stella cadente.

Una congiura in Cagliari – Capitolo V

Dove tramezzo al crepuscolo della malinconia e nella solitudine farà capolino uno dei principali personaggi del racconto

Nei giorni che vennero appresso a quella notte, poc’anzi descritta, fu un grande affaccendarsi da ogni parte. Il Cea, il Vico e quanti altri tenevano pel Marchese di Laconi, non quietavano. Il palazzo di quest’ultimo diventò, in breve, un centro d’assidui convegni, dove si passavano al vaglio le notizie del giorno, si discuteva sulle probabilità del buon esito della missione affidata al Castelvì, con quell’ardore partigiano, che sì di soventi trabocca in fremiti d’ira e in minaccie.

Una congiura in Cagliari – Capitolo VI

Rivelazioni

– Avanti. – disse la Marchesa con voce argentina, che si sarebbe detta velata dalle lacrime, e la cui dolcezza ricercava le fibre del cuore.
Una cameriera entrò annunziando:
– La Contessa Aymerich di Villamar176.
– Falla entrare subito. – rispose la Zatrillas.
La cameriera disparve prontamente. Indi a poco il fruscio d’una veste di seta annunziava l’appressarsi della Contessa di Villamar. Francesca Zatrillas passò la destra sulla fronte, quasi per dissipare le nebbie, che vi si erano addensate in quell’ora di muta solitudine. Sorse lentamente dalla seggiola e, con sollecitudine, si fece incontro alla venerata matrona.

Una congiura in Cagliari – Capitolo VII

Dove dando una botta a caso si colpisce nel segno

I mesi così si succedevano li uni agli altri, e le trepidanze e le incertezze, non che scemare, crescevano ogni dì più. Per tal modo dal febbrajo si venne al giugno. Il caldo crescente della stagione non permetteva lunghi convegni. Il tranquillo borghigiano si contentava di dilungare le sue passeggiate nei pressi della città; tanto per respirare una boccatina d’aria pura e rinfrescante, quanto per sottrarsi a quel noioso farnetichio di stamenti e di donativi, sorgente inesauribile di chiacchiere e di dubbiezze senza fine, che disturbavano i suoi sonni e rendevano increscevoli le sue veglie.

Una congiura in Cagliari – Capitolo VIII

Avvisaglie

La leggera brezza del mattino, penetrando dalle aperte finestre per entro alle stanze del palazzo Castelvì, vi recava il dolce profumo dei fiori esotici serbati in eleganti testi, che ne adornavano i davanzali. Marcello, con visibile malumore, rassettava la stanza, mentre Anna, la cameriera favorita della Marchesa, se ne stava in un canto cucendo e canticchiando sotto voce. Tratto tratto Marcello inciampava in un mobile, dava stincate di qua e di là, o rovesciava qualche scranna.

Una congiura in Cagliari – Capitolo X

Insidie

Declinava un giorno d’autunno. L’ora e la stagione erano inspiratrici di pensieri malinconici. Faceva per soprassello un tempaccio nero nero, come suole soventi nel rompere delle stagioni. Le nuvole tempestose a mano a mano si condensavano su pel cielo sconvolto, e rendevano grave l’aria e il caldo opprimente.
Qualche rado spruzzo, spiovuto ad intervalli, era sicuro indizio dell’appressarsi della procella menata innanzi dagli sbuffi affuocati dello scirocco.

Una congiura in Cagliari – Capitolo XI

Luce e tenebra

– Nelle avversità della vita, che turbano anco il riposo dei grandi della terra, non dimenticarti di questo consiglio paterno. Serbalo come una sacra memoria e a lui t’affida come all’angelo custode della innocenza, al quale si ricorre nelle ore del pericolo, e tienlo sempre presente quale guida nei tuoi dubbi, quale confortatore nelle tue afflizioni.

Una congiura in Cagliari – Capitolo XII

La spada di Damocle

Tra tante incertezze e tanto tramestare si giunse alla fine dell’aprile del 1668. Il palazzo del Marchese Castelvì, non ostanti li umori e i trambusti dei partiti, da un anno che egli salpò per Madrid, tramutossi in un convegno invidiato delle maggiori notabilità e dei personaggi di più chiara ed illustre prosapia253. Mi servo d’una frase, che allora proferivasi a voce alta, con orgoglio, e faceva tanta fortuna, e che anco di poi, mutati i tempi, la si lasciò sottintendere con infiniti rigiri di parole, sebbene avesse cessato d’essere dimostrativa.

Una congiura in Cagliari – Capitolo XIII

Abyssus abyssum invocat

Silvestro Aymerich uscì come un ebbro dal palazzo della Marchesa. Il suo stordimento e la sua confusione erano giunti a tale da togliergli la conoscenza delle cose e la coscienza di quel che si faceva. Per fortuna la sua casa era vicina. Ne imboccò l’uscio, salì le scale e si chiuse a precipizio in camera. La perturbazione, in balìa della quale si trovava il suo spirito, gli contese d’addarsi del contegno di tre o quattro ceffi scomunicati, che facevano capolino da dietro all’uscio nella taverna di Stefano, la quale, come il lettore sa, stava di rincontro all’ingresso del palazzo Castelvì.

Una congiura in Cagliari – Capitolo XIV

Dove si vedrà quanto amaro si mescoli in quel liquore inebbriante che ci chiama la gloria

Quali fossero state le novelle e le raccomandazioni, che il De Sena recava da Madrid, se ’l seppero pochi intimi soltanto, e, tra questi, il Marchese di Cea. Ma l’effetto che produssero rispose interamente alle speranze, che se ne concepirono. E, di fatto, non ostante i maneggi del Camarassa e consorti, la dispensa dell’età conceduta all’Alagon per poter presedere il braccio militare non mutò in meglio le cose.

Una congiura in Cagliari – Capitolo XV

Quel che accadde il 28 maggio 1668

Erano scorsi parecchi giorni dal ritorno del Marchese. Gli stamenti dovevano riconvocarsi senza indugio. Si prevedeva uno di quei dibattiti acri e procellosi, dai quali ha a conseguirne più che la sconfitta d’una delle parti che vi contendono, la sua distruzione. Il Viceré, il Marchese di Villasor, il De Molina, il partito spagnuolo, in una parola, lavoravano senza posa per riuscire nel proprio intento.

Una congiura in Cagliari – Capitolo XVII

Il giuramento

Mano mano che la notizia della morte del Castelvì si propagava nei quartieri della città, un sentimento prima di stupore poi di sdegno manifestossi nello universale. Quell’uomo, che, appena un mese avanti, fu accolto con dimostrazioni di caldo affetto e portato trionfalmente sino al suo palazzo tra il frenetico acclamare d’un popolo tutto, saperlo adesso morto e morto a quel modo, era tal cosa alla quale non si poteva prestar fede senza rabbrividirne.

Una congiura in Cagliari – Capitolo XXIII

Una lettera giunta troppo tardi

Il colpo ideato dai Baroni per vendicare la morte del Marchese Castelvì e, in una, ricattarsi424 dell’oltraggio, che quella uccisione recò alla loro dignità, come si vide, sortì pieno effetto. Le partite dunque erano pari; da una parte e dall’altra ebbe a deplorarsi una vittima. Rimaneva, invero, un punto oscuro, che poteva destare qualche scrupolo addormentato in un cantuccio della coscienza.

Una congiura in Cagliari – Capitolo XXV

Rimembranze e disillusioni

Silvestro Aymerich s’era apposto: non rimaneva ai congiurati che una sola via di scampo, quella dell’esilio, se pure, rimanendo, non volevano essere serbati ad una morte di ignominia. Il Duca di San Germano, sapendoli ridotti a mal partito, non si stancava di armeggiare con ogni industria per precludere loro il varco alla fuga, vuoi manomettendone li averi, vuoi insidiandone la libertà.

Una congiura in Cagliari – Capitolo XXVI

Dove si vedrà come le immani persecuzioni vincano soventi la costanza più salda

Giannettino, non avendo ritrovato a Cuglieri il Marchese di Cea, in pensieri per le novelle apprese cammin facendo, dopo poche ore di riposo, galoppava alla volta d’Ozieri.
Il cavallino snello, sparvierato490, varcava le pianure, le colline, s’inerpicava come un cerbiatto su per gli scoscendimenti delle montagne, mandando allegri nitriti.

Una congiura in Cagliari – Conclusioni

Quando la Marchesa ricevette a Nizza la fatale notizia della miserevole fine del suo sposo, fu presa da sì disperato cordoglio, che non valsero a mitigare i conforti a lei prodigati dal Duca di Savoia, al cui favore ed alla cui liberalità era pur debitrice di tanto. A lui affidò il figliuolo, Don Gabriele Antonio, avuto dalle nozze con Silvestro Aymerich, e, detto addio al mondo, si ridusse a vivere in un ritiro, ove finì i suoi giorni contristata dalle infauste memorie del suo passato, espiando con assidue opere di pietà i trascorsi e le colpe della sua combattuta giovinezza, degni di perdono perché aveva amato molto e molto pianto.