Lettera del Pontefice Vittore III a Giacomo arcivescovo di Cagliari, colla quale si duole dello stato rovinoso in cui sapeva trovarsi le chiese in Sardegna, e lo esorta ad occuparsi sollecitamente della loro ristaurazione, giovandosi dell’aiuto degli altri vescovi dell’isola.
(1087, 29 agosto)
Dal Machin, Defens. primat. archiepisc. calarit. Lib. II, cap. IX, n. 2, pag. 51 e 52, edit. praed. (1).
Victor servus servorum Dei Jacobo Calaritano archiepiscopo caeterisque archiepiscopis et episcopis Sardiniae, salutem et apostolicam benedictione. Quidam ex vestra insula ad nos venientes ecclesiarum vestrarum pene collabentium statum nobis exposuerunt, quae merito ita indigno animo tulimus, ut quasi ad producendum contra illarum episcopos compulsi fuerimus, praecipue contra fraternitatem tuam, frater archiepiscope, qui primus es dictae insulae, cui majora ecclesiarum negotia deferenda sunt. Ideo enim Sedes Apostolica, cui, licet indigne, praesidemus, per diversas mundi provincias episcopos, archiepiscopos, et primates instituit, ut recte singularum ecclesiarum gereretur administratio. Quare nos fraternitatem tuam, caeteroque archiepiscopos, et episcopos commonemus, ut dilectionem tuam unanimiter adjuvantes, illarum reparationem quanto citius procuretis. Vos ergo in hac re propensos ita ostendite, tantamque in hoc adhibite diligentiam, ut cognito studio, ac diligentia vestra, si quid hactenus negligenter, aut inobedienter delinqueritis, merito propter hoc tolerare debeamus. Agite igitur, et omnino procurate beatum Petrum apostolorum principem vobis adiutorem, qui potest vobis huius vitae et futurae salutem et honorem dare. Caeterum, si quis vestrum, iudicem oppressivum ferre non volens, cupit secedere, et ad nos venire maluerit, nos charitate qua debemus eum libenter suscipiemus. Qui vero aliis exemplum factus fortiter in bello perseveraverit, ille procul dubio virtutis coronam, gloriaeque triumphum merito maiorem, Domino largiente, percipiet. Dat. Beneventi, 4 kal. septem. 1087.
NOTE
(1) Questa stessa epistola fu poi pubblicata dal Papebrochio negli Atti di S. Lucifero arcivescovo di Cagliari (ad diem 20 maii nell’appendice n° 123), e quindi anche dal Mattei nella Sardinia sacra, pag. 85 e 86. Entrambi però la copiarono dalla suddetta opera del Machin; epperciò tutta la prova dell’autenticità di questa lettera riposa sopra la sola autorità dell’ultimo dei tre accennati scrittori. Ora, siccome il Machin la pubblicò nell’opera apposita che scrisse in difesa della primazia dell’arcivescovo cagliaritano, e in tempi nei quali ferveano più che mai acri le contenzioni tra Sassari e Cagliari, e tra gli scrittori di uno ed altro paese per causa appunto di tal primazia, ognuno vede essere molto sospetta la di lui testimonianza in cosa nella quale egli medesimo era parte tanto interessata. Non pertanto, affinché non credasi che io voglia condannare arbitrariamente come apocrifa siffatta epistola, esporrò brevemente i motivi che mi fanno dubitare assai della sua genuinità. Ed eccoli per ordine, secondo le regole più comuni della critica in siffatta materia: 1° perché il Machin, autore sospetto e parziale, è colui che la pubblicò per la prima volta nell’opera intitolata Defensio primatus archiepiscopi calaritani (loc. cit.); 2° perché il Papebrochio ed il Mattei la riprodussero sulla di lui fede, e quindi non possono intervenire coll’autorità propria ad aggiunger peso al documento in questione; 3° perché non si sa comprendere come nell’archivio arcivescovile di Cagliari siasi serbata incolume questa sola epistola pontificia del secolo XI, quando lo stesso Machin (oper. cit., cap. III, num. 3), afferma che non esisteva nel suddetto archivio, per causa del seguitovi incendio, verun monumento anteriore al 1400, ma solamente dal 1507 in appresso; locchè pure è confermato dal Bonfant (De primatu, num. 84); 4° perché il precitato Bonfant, che pubblicò soli cinque anni prima dell’opera del Machin il suo Triumpho de los sanctos ec., nel libr. I, cap. V, dove tratta della primazia, e raccoglie tutte le prove, monumenti ed epistole pontificie, le quali, a suo avviso, erano atte a dimostrarla, nulla dice, come se mai esistesse, di questa lettera di papa Vittore III; 5° perché il Machin nella stessa citata sua opera pubblicò false medaglie ed iscrizioni, com’è divulgatissimo fra gli eruditi della sarda archeologia; 6° perché il breve ed interrotto pontificato di Vittore III male si accorda con questa lettera, la quale suppone nell’autore della medesima una cognizione pienissima delle preminenze onorifiche e giurisdizionali delle chiese di Sardegna. Infatti Vittore III (prima Desiderio abate di Monte-Cassino) fu eletto papa nel 24 maggio del 1086, e quattro giorni dopo la sua elezione, partitosi di Roma, depose in Terracina le insegne pontificali, e andossene a vivere vita privata nel suddetto monastero di Monte-Cassino. Fu solamente nel 21 marzo del seguente anno 1087 che si lasciò persuadere a ripigliare la tiara. Quindi tornò a Roma, e fu consecrato nel 9 maggio dello stesso anno. Da tal punto si occupò intieramente della espulsione dei Saraceni che infestavano i lidi d’Italia, al qual fine congregò dai varii popoli italiani un poderoso esercito, che spedì contro i Mori d’Africa, e riportò sopra i medesimi un’assai strepitosa vittoria. Ripartì poi subito da Roma; e nel mese d’agosto fu a Benevento per celebrarvi, come vi celebrò in effetto, un concilio contro l’antipapa Guiberto, che aveva assunto il nome di Clemente III, e ch’egli scomunicò, col consenso dei padri conciliarii. Mentre celebrava il suddetto concilio fu repentinamente sorpreso da grave morbo, e trasportato perciò a Monte-Cassino, vi morì nel 16 settembre 1087, non senza sospetto di veleno fattogli propinare dai settarii dell’antipapa e dai fautori di Arrigo IV imperatore di Germania. Ciò tutto si ricava dal Baronio (Annal. ecclesiast., ad ann. 1086, 1087). Da Leone Ostiense nella Cronaca di Monte-Cassino (lib. III, cap. LXVI, LXVIII, LXXI e LXXIII), da Tolomeo da Lucca (Hist. eccles., lib. XIX, cap. XIII), dal Muratori (Rer. italic. script., tom. XI, col, 1078), e da tutti comunemente gli scrittori ecclesiastici. E ciò supposto, com’è possibile che papa Vittore III in soli quattro mesi non giusti dalla sua consecrazione, e mentre trovavasi occupato nei gravissimi affari di scacciare i Saraceni dalle coste d’Italia, e di comprimere lo scisma coll’autorità del suo concilio, abbia potuto avere minute e sicure informazioni sullo stato delle chiese sarde, e farne soggetto della presente epistola nel 29 agosto del 1087?; 7° Perché Gregorio VII, antecessore immediato di Vittore III, sebbene sedesse per più anni nella cattedra pontificia, e conoscesse assai bene le condizioni delle chiese di Sardegna, e scrivesse varie lettere ai regoli sardi, e vi facesse special menzione dell’arcivescovo cagliaritano, mai dà a quest’ultimo il titolo di primate: come dunque glielo dà il suo successore, dopo soli quattro mesi del suo papato? e nella ipotesi che la epistola fosse genuina, le parole et primas dictae insulae ec. non sarebbero per avventura un’aggiunta ed interpolazione machiniana? Non era forse il Machin solitus similia facere? 8° Perché il contenuto della epistola è alieno dalla verità storica. Ed invero, come potea papa Vittore ascrivere a colpa dei vescovi sardi la ruina della chiese, la quale era cagionata dalle tante e perseveranti incursioni barbariche dei Saraceni? Non fu lo stesso Vittore che, riassunto appena il pontificato, combinò, e fece eseguire una famosa spedizione contro i Mori, che infestavano le coste d’Italia, e specialmente della Sardegna, profanando e rovinando templi ed altari, e conducendo schiavi in Africa i pacifici cristiani? Come potea inoltre il pontefice Vittore parlare con verità in questa lettera di oppressioni di vescovi per parte dei giudici o regoli sardi di quel tempo, quando invece consta dall’istoria e da molti documenti sincroni, che i giudici e magnati sardi di quella età erano anzi i benefattori ed i protettori delle chiese e dei vescovi, dei monasteri e dei monaci? Non fu egli stesso papa Vittore III, che essendo ancora abate di Monte-Cassino sotto nome di Desiderio, ricevette gl’inviati di Barisone I di Torres, e quindi le sue ampie donazioni, e quelle eziandio di Torchitorio I di Cagliari? (ved. sopra docum. VI e VII). Come dunque in sì breve tempo cotesti regoli, dianzi tanto pii e generosi erano divenuti agli occhi suoi uomini prepotenti ed oppressori? 9° Finalmente, perché molte parti di questa lettera, e il rinvenimento della lettera medesima peccano d’anacronismo e d’improbabilità. Così, a modo d’esempio, l’espressione frater archiepiscope è formola di stile più moderno del secolo XI. Così pure l’altra espressione qui Primas es dictae insulae non si vede usata in altri monumenti dello stesso secolo relativi all’episcopato di Sardegna. E così ancora, contro l’uso costante del secolo medesimo, adottato nelle epistole e nei monumenti pontificali, non si trovano annotati in questa lettera né l’anno ab incarnatione, né la indizione. Riguardo poi alle improbabilità del rinvenimento, oltre le già indicate più sopra, mi basterà addurne un’altra sola. Dice il Machin (oper. cit.), che trent’anni prima di suscitarsi la lite del primato ecclesiastico tra Cagliari e Sassari, questa medesima lettera fu ritrovata in Roma da D. Costantino Gaetano abate benedittino in un volume di antichissimi manoscritti scoperti in quel tempo. Di questo fatto, che per la sua singolarità si riscontra a cappello coll’altro scuoprimento fattone nell’archivio della curia arcivescovile di Cagliari, e riferito da lui medesimo, non adduce testimonii o prove di sorta. Laonde può ben dirsi credat judaeus Appella, molto più se si riflette, che l’abate discuopritore era nativo di Napoli, ed aveva quindi comune la patria col P. Orazio Quaranta, illustratore in quello stesso correr di tempi della medaglia luciferiana inventata e supposta dal Machin (ved. Tola, Dizion. biograf. dei Sardi illustri, vol. II, pag. 201). Noterò finalmente che l’autorità del Barbosa, cui si appoggia il Machin (oper. cit.), non è di alcuna importanza. Imperocchè cotesto scrittore cita bensì la presente epistola di papa Vittore III (Collectanea doctorum ec., lib. II, Decret. De praescript., tit. XXVI, cap. Si diligenti, ʃʃ 3, 4 e 5, pag. 635, edit. Lugdun. MDCXXIX), ma la cita come una delle carte e delle allegazioni che producevansi contro la sua opinione dai sostenitori della primazia dell’arcivescovo di Cagliari, senza toccare né punto né poco della genuinità o supposizione di cotesto monumento. E tuttavia, dopo averlo citato così nudamente sulla fede altrui, conchiude a favore della primazia pisana con queste parole: verum adhuc pro pisano (archiepiscopo) stare videntur per me adducta etc.