Il Pontefice Clemente IV scrive al principe Enrico, Infante di Castiglia, facendogli conoscere, come al presente sarebbe inutile la impresa ch’ei meditava d’invadere la Sardegna, sia per le molte spese che si richiedevano per la medesima, sia perché sarebbe respinto dai Pisani padroni dell’Isola; e lo consiglia perciò ad abbandonarne il pensiero, proponendogli invece un cospicuo e vantaggioso matrimonio, pel quale dice aver scritto a Carlo re di Sicilia, affinché si adoperi efficacemente per farlo riuscire.
(1267, 5 gennaio).
Dal Martene, e Durand. Thes. Nov. Anecdot. Tom. II. col. 438.
Dilecto filio nobili viro H. filio clarae memoriae
F. quondam regis Castellae (1).
Ad tuae claritatem originis attendentes, et illius devotionis fervorem quam ad Romanam habes Ecclesiam, tui promotionem honoris, quibus possumus studiis procuramus. Et quoniam ad regnum Sardiniae tuos oculos direxisti, super quo cum N. milite Ianuensi longam satis collationem habuimus; scire te volumus, quod post recessum ipsius, inspecta plenius conditione negotii, multò tibi utilius iudicamus id non aggredi, quod multis sumtibus indigeret, praesertim cum Pisanos haberes adversarios, qui posit è vicino et ingredientem impedire valerent, et ingressum continue molestarent. Unde carissimo in Christo filio nostro C. illustri regi scripsimus; eumdem instantius exhortantes, ut ad matrimonium inter te et filiam viri nobilis Micalipsi contrahendum det operam efficacem: quod si contingerit consummari, non tibi soli, sed carissimis in Christo filiis nostris imperatori Constantinopolitano illustri et eius filio esse poterit fructuosum, nobis etiam et toti populo Christiano. Datum Viterbi nonis ianuarii anno II.
NOTE
(1) Le iniziali, e la rubrica della presente epistola indicano abbastanza chiaramente, che la medesima è diretta all’Infante Don Enrico figlio di S. Ferdinando re di Castiglia. Questo principe venturiero, dopo aver militato nelle guerre del re di Tunisi contro il sultano di Marocco, andò nel 1267 a Napoli per cercar fortuna presso il suo cugino germano Carlo I di Angiò re di Sicilia. Ambizioso ancor egli di regnare, si trasferì nello stesso anno 1267 a Viterbo, dove si trovava Papa Clemente IV, e procuratosi il favore di alcuni Cardinali, domandò al Pontefice la investitura della Sardegna. Il Papa non volea concedergliela, per non dispiacere a Carlo d’Angiò, che la bramava pure per sé; e non volea darla nemmeno a quest’ultimo, del quale cominciava già ad adombrare la potenza. Quindi si appigliò all’espediente di dissuadere l’infante D. Enrico dal suo progetto, pe’ motivi, che si leggono in questa lettera. È noto come il principe Enrico, sospettando che suo cugino avesse agito segretamente per alienare il Pontefice dal concedergli la richiesta investitura, seguisse poi la parte ghibellina del famoso, ed infelice Corradino imperatore dei Romani; come combattesse valorosamente nella battaglia di Tagliacozzo; e come, fatto prigioniero da Sinibaldo di Aquilone, fosse condannato da Carlo d’Angiò a carcere perpetuo, e dopo venti e più anni restituito a libertà da Carlo II re di Sicilia. I Trobadori del tempo celebrarono la bravura, e la prigionia dell’infante D. Enrico. Si hanno infatti questi versi di Paoletto di Marsiglia, trovatore del secolo XIII.
Ben deu esser marrida tota Espanha
E Roma tanh, e cove be que planha
Lo senador franch de la bella companha;
Lo plu ardit de Burcxtro en Allemanha
A trop fallic
Quasc’ns qu’el camp laysset lo pros N Enric…
E’l reis Namfos que tant gent se capdella,
ab seu antic
Deu demandar tost son frair En Enric.
(Raynouard, Troubadors), Tom. IV. pag. 72.
Notiamo qui per incidenza, che al luogo di questa epistola, in cui il Martene e Durand lessero cum N. milite Ianuensi, il Fara legge cum nobili milite Ioanne; dove i primi notano la sola iniziale C., indicativa di Carlo re di Sicilia, il secondo scrive la parola intera Carolo; e dove quelli dicono viri nobilis Micalips, l’altro dice semplicemente nobili viri M. (Ved. Fara, De Rebus Sardois, Lib. III. pag. 250).